di Luisa Ramundo
L’itinerario cittadino in novantanove tappe scritto da Alessandro Mauro, avvincente come un libro di avventure, io l’ho divorato. Avanzavo nella lettura con l’andamento visionario e agile delle fantasiose giravolte del Parkour, lo sport urbano fatto di magistrali acrobazie con cui impari a scavalcare ostacoli e muri per riappropriarti di spazi della città e della loro bellezza. Perché è con la stessa anarchia visionaria che Alessandro Mauro, da vero Maestro d’Arte dello Spostamento dello sguardo, con giravolte e salti della fantasia, ti guida alla scoperta di questa città a cui vuole tanto bene. La conosce, la sa, eppure ogni volta, tra le pieghe, nel lato in ombra di una scalinata, in un cortile di Garbatella, nelle solitudini o negli incontri casuali e, insieme, del destino, fruga più a fondo e scova qualche segreto nascosto, bellezza, ironia, stupore. Doppia Roma affida il ritratto della città a novantanove abbinamenti immaginari, coppie di gemelli diversi, avvicinati “sia per contrasto sia per affinità” come l’autore racconta nell’intervista rilasciata a Diego Zandel per la rivista L’Incontro. Mauro, con la sua scrittura agile, veloce, come i ragazzi di tutte le età che, per scherzo o per sfida, scavalcano muri e altri ostacoli per guardarsi attorno con occhi nuovi, ti riconsegna spazi da cui ti consideravi escluso; e ti ritrovi accolto dall’abbraccio di storie intrecciate che fanno viva questa bella e unica città. Per me, che a Roma abito e però ci vivo in equilibrio precario, disorientato e fuori posto, è stato come riconoscere la strada di casa al rientro da un lungo viaggio. Attraverso il suo sguardo curioso di bellezza, a caccia di stupore, pronto all’affetto, scanzonato e umanissimo, l’ho riscoperta popolata di amici nuovi e diversi, di sorprese.
Tra le coppie cittadine che ti propone, trovi accostamenti di dettagli architettonici, urbanistici e d’arte, archeologica, moderna o contemporanea, di Storia, quella in ogni cantuccio, a strati sovrapposti, giù fino agli ipogei e alle catacombe di Roma. Ci sono pure gemelli divertenti, pieni di acute spigolature, dove ridi a voce alta, da sola, anche se stai leggendo in un bar o a bordo dell’autobus. Gemelli surreali come “Pizza e supplì” “L’auditorium e lo zoo” “Asino e bue” o “Il babbuino e altre scimmie” con l’ipercorrettismo della toponomastica che ‘nella capitale mondiale del raddoppio di consonanti Babuino appare con una b sola così come una traversa di via Giulia si chiama vicolo della Scimia. Con una sola m’.
Tanti i richiami alla Storia recente che segna di lapidi le strade: ponte Garibaldi, dove è stata ammazzata Giorgiana Masi, i luoghi fatali del rapimento Moro, del rapimento Matteotti, a ricordo dei rastrellamenti del Quadraro e dell’episodio di valle Giulia. A ogni paragrafo, a ogni coppia, scopri un universo a parte. Tra le coppie, trovi anche molti omaggi al cinema, tra gli altri a Pasolini, Magnani, Leone.
I gemelli che io trovo davvero strepitosi sono quelli in cui lo sguardo scorda per strada l’ironia, il pudore e resta a nudo… È in quei punti, come ne ‘il fiume e le canzoni’, che il sentimento mascherato dietro alla voce ruvida e strafottente di Gabriella Ferri ti blocca a tradimento, stringendoti alla gola. Qui, dove la coppia di fatto è formata da due canzoni dedicate al fiume, cuore di una città nata sulle sponde di un corso d’acqua biondo ma pure boiaccia, Pe’lungotevere e Er barcarolo romano: “Si piange. Specie se la canta lei con quella voce illuminata di compassione roca. “(…)” Nell’altra si ride. “Poi può succedere che ascoltare Gabriella Ferri sia commovente anche quando ci sarebbe da ridere. Piccolo contrappasso di città che scherza su tutto ma è struggente pure nello sberleffo. Sempre alle prese con la differenza, qualche volta sottile, tra baciarsi e affogare.”
Questo libro, che elegge protagonisti luoghi e non persone, eppure è popolatissimo di presenze, di umori, di storie più ancora che di Storia. Io, che riconosco una città più negli abbracci e negli incontri che nei panorami e nelle vestigia, ho amato la vita coinvolgente delle tante storie, calde di impronte umane, di ombre tangibili e corporee. E c’è l’imbarazzo della scelta tra le coppie della Doppia Roma in cui senti a ogni riga il battito sarcastico e altruista del cuore schivo della città Eterna. Scelgo le accoppiate di luoghi che niente hanno a che fare con la geometria e le giuste proporzioni, con l’arte e l’ambiziosa nobiltà dei suoi disegni né con la Storia. Quei racconti dove l’ispirazione, l’umanità la senti aggrappata come muschio alle pareti dove non batte il sole, nei luoghi bui e inospitali, i meno organizzati e architettonici e, insieme, i più ‘abitati ’e umani. Sono quei “non luoghi”, angoli poco appariscenti per arte storia e bellezza, che più vibrano di fisicità carnale e di miraggi, di visioni. Di luce. Così sono i capitoli ispirati ai sottopassi e ai loro abitanti clandestini: Muri e ritratti. Con il sottopasso Tubigo, tra via Marsala e via Giolitti “a lungo albergo senza stelle” dove chi non aveva altro rifugio si alloggiava in “Bilocali nella fattispecie perché ognuna di quelle superfici già esigue era divisa da tre colonnotti della categoria dei dissuasori disposti in diagonale “(…) per occupare più spazio, e, dunque, dissuadere con più efficacia. O in Arte, santi, sottopassi “Scendere lì sotto immette in uno spazio in cui le persone della cooperativa Subword con l’aiuto del Municipio hanno dipinto animali, vegetazione e perfino cielo permettendo a chi passa, se ha un cellulare, di accordare la visione con l’ascolto di testi creati apposta. Dunque quegli scalini, a sorpresa, portano in alto.”
La stessa irriverenza, di pianto soffocato e impunito o del graffio di una risata, la ritroviamo in molte scritte sui muri, opera di writer così come di cuori infranti da passioni varie. “Torna in mente l’adagio secondo cui le storia è scritta dai vincitori. I muri, almeno a Roma qualche volta fanno eccezione”. Ha questo deciso carattere l’immaginetta stencil di un uomo in canottiera che puoi vedere a Garbatella. L’omino in canottiera è Victor Cavallo e la targa a lui dedicata è all’esterno di Casetta Rossa dove inizia e ritorna il percorso a lui dedicato. Garbatella. Sulla targa è anche scritto: “lentamente a piedi traverseremo il mare mio figlio e io e andremo al Maracanà” Questo inno al Maracanà crea sintonie misteriose tra Rio de Janeiro, Capitale del Carnevale, Regina dell’Impermanenza e la Città Eterna che, personalmente, mi hanno fatta esultare. Io, che ho difficoltà a riconoscermi nella solidità della realtà, ho festeggiato tutti gli accostamenti tra Precario e Eterno. In particolare il capitolo dedicato alla Precarietà solida e solidale dell’avventura di Acrobax. La troviamo nel paragrafo Exodromi, che avvicina l’ex Cinodromo all’ippodromo di Capannelle, per anni sede di concerti a prezzi popolari, di fiere di produzioni agricole biologiche e a chilometro zero parallelamente a qualche corsa di cavalli. All’ex Cinodromo, invece, Oggi una Roma screpolata e viva annunciata dai colori di Blu bravo e tenace artista murale e occupata dall’Acrobax centro sociale che deve il nome all’idea di precarietà e in equilibrio sul filo dal rugby al samba.
Per me, e qui l’autore non c’entra, la Precarietà è vissuto e esperienza emotiva profonda, più che idea. Non solo perché sono parte di Samba Precario che condivide precarietà e mutualismo con Acrobax e quindi lotto e vibro insieme a loro, ma perché della mia esistenza quello che resta dentro per sempre, che in me resta eterno, sono proprio quei prodigi che parevano effimeri. Troppo effimeri per fidarsi.
Perciò amo con vera passione tutto il finale del libro che si equilibra su un filo, su una precarietà acrobatica che va dalla Garbatella, al Maracanà, da Casetta Rossa, a Acrobax. E ci lascia con l’utile bellezza di provare a godersi la vita. Eh sì, mica avevo torto. Non potrebbe somigliare di più allo slalom vitale e esuberante del Parkour.